I testi raccontano lo sviluppo del sistema inquisitorio ovvero di quel modello processuale che secondo le modalità in vigore riuniva le funzioni dell'accusa, della difesa ed il giudizio in un unico organo.
La procedura, risalente nel tempo, nella codificazione rimanda al "Malleus maleficarum". Il testo era diviso in tre parti: "concurrentia ad maleficia, maleficiorum effectus, remedia adversus maleficia". All'inquisitore era sufficiente attribuire una colpa per formulare una accusa, ricercare i reati ed acquisirne le prove con tutti i mezzi leciti e illeciti.
I fatti narrati parlano della "discrezionalità" dell’inquisitore, nell'attivazione di ufficio dell'azione penale, anche per anonima denuncia. L'imputato veniva considerato colpevole senza il bisogno di dimostrare la fondatezza dell'imputazione.
Il rituale prevedeva poteri processuali per la formazione della prova, le deposizioni venivano svolte in gran segreto e le trascrizioni verbalizzate nelle tesi accusatorie come presunzione di reità che tradivano nel linguaggio la tecnica del sospetto e del dubbio. Si procedeva con allusioni, calunnie, insinuazioni fino all'illazione e diffamazione nella presunzione di colpevolezza.
Nell’interrogatorio, se le risposte dell’accusato risultavano poco convincenti si riteneva legittimo l'uso delle pene corporali, "ad tormentum", un misto di tortura "ad uso exstirpanda" che cessava con l'esito finale, nelle diverse modalità "aliquem crudelissime interficio" dell'esecuzione della pena capitale.

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